Una maggioranza ampia ha il dovere di confrontarsi con le opposizioni per riscrivere un po’ di regole!
Troppo facile prendersela col governo Meloni: 9 decreti legge in 2 mesi (10 se consideriamo anche il milleproroghe non ancora pubblicato in Gazzetta, ma questa è altra storia…) e quelli esaminati tutti (3), fatalmente, in via sostanziale, da un solo ramo del Parlamento.
Non è vicenda recente, ma negli ultimi 10 anni a furia di legiferare con la spada di Damocle di una indifferibile (sic!) urgenza, solo un ramo del Parlamento ha di fatto esaminato, discusso ed emendato il testo in esame. In una sorta di bicameralismo copia-incolla o monocameralismo alternante.
Questa legge di bilancio porta con sé il vulnus di un governo formatosi a seguito delle prime elezioni politiche della storia repubblicana celebrate in autunno e quindi era quasi naturale immaginare che solo un ramo del Parlamento avrebbe potuto sviscerare e modificare migliaia di commi entro il 31 dicembre. Ma questa sarebbe dovuta essere una eccezione.
Il bicameralismo ha dei pro e dei contro, come il monocameralismo.
La cosa più dannosa per il principio di rappresentanza è avere un sistema bicamerale perfetto ed “adattarlo”, stravolgerlo, per necessità politico-congiunturale, ad una sorta di sistema misto. Si chiama torsione della procedura parlamentare.
In queste ore i senatori potranno analizzare le mille e passa pagine i 900 e passa commi, approfondire i dossier su ogni singola misura, confrontare posizioni, alimentare un dibattito, discernere ogni aspetto critico delle misure o giù di lì.
Dovranno leggere più o meno 218 righi al minuto per riuscire a dare una scorsa a tutti i tomi ed i dossier interessati, una sorta di scansione digitale più che una lettura.
Dovranno farlo in mezza giornata, una sorta di azione emendativa per flash.
Ci perde la qualità delle proposte sul piano della efficacia ed anche sul piano lessicale. Si snatura l’alta funzione della rappresentanza.
Quante volte in questi anni ho visto fughe in avanti di gruppi e gruppuscoli che riescono con un blitz, cogliendo un’occasione, a far approvare da un ramo del Parlamento norme parziali e settoriali (marchette in gergo) e quante volte le ho viste cancellate dall’altro ramo del parlamento, smascherate per quello che erano! Quante volte errori grammaticali o anche norme inintellegibili nel passaggio da una camera all’altro hanno lavato i panni in Arno alimentando quel dibattito sempre più necessario circa la democrazia lessicale delle norme.
Insomma il bicameralismo è servito sinora anche a temperare radicalismi ed eccessi, a correggere strafalcioni e ad evitare che la contrapposizione politica od ideologica strumentale si traducesse in norme settarie e divisive.
Se è invalsa l’abitudine ad utilizzare la decretazione d’urgenza come corsia privilegiata per sedare il Parlamento, se il lasso di tempo che passa tra un decreto “approvato” (forse!) in Consiglio dei Ministri e la sua pubblicazione in Gazzetta diventa sempre più lungo, se una Camera lavora ed opera e l’altra accoglie supina ogni testo anche se indigeribile con l’impegno che il successivo provvedimento avrà un destino “invertito”, credo sia giunto il momento per una riflessione istituzionale e perché no costituzionale (senza machete e furia ideologica).
Politico – medico – scrittore