Napoli Afragola: destinazione Nord
Le stazioni sono un caleidoscopio di vita, il luogo dove la vita scorre senza finzioni.
Nel periodo natalizio ancor di più: frettoloso andirivieni, occasione d’incontri, ma soprattutto “logistica di congiunzione”.
La stazione di Napoli Afragola è più di uno spaccato del vissuto di oguno, è un corso condensato di quotidianità. Studiosi ed esperti di sociologia dovrebbero passare di qua prima di esprimere giudizi, centellinare verità, suggerire prospettive.
Una foto plastica degna delle analisi dei migliori meridionalisti come Nitti o Rossi Doria. Un dipinto vivente dello strazio e della socialità meridionale.
Da Afragola, più che da Napoli Centrale (ormai stazione dell’urbe), partono migliaia di giovani donne e uomini, pendolari quotidiani per lavoro. Di corsa, di primo mattino e trafelati, coi treni del pomeriggio tardo, fanno ritorno a casa. Al seguito pesanti zaini ed ombrelli tascabili, appena in tempo per abbracciare i figlioli, accudirli e prepararsi per il nuovo viaggio: il miraggio è il weekend. Lavoro vero, duro talvolta, necessario sempre. Una sorta di percorso ad ostacoli, la via crucis per raggiungere l’agognato “posto” a tempo indeterminato e con esso il trasferimento stabile.
Ma questa è storia nota, vera, se si vuole anche antica.
Il lunedì all’alba e la domenica sera partono invece i pendolari di più lunga gittata: i lavoratori e le lavoratrici che devono raggiungere mete lontane e ritornano solo per il fine settimana.
Passano da Napoli Afragola purtroppo e spesso anche coppie speranzose e sofferenti per mali veri, salgono su quei treni che appaiono salvifici essi stessi, addirittura taumaturgici, per i viaggi della speranza verso le mete dell’eldorado sanitario nazionale: Lombardia, Veneto ed Emilia. Si rincorrono attese e cure migliori, prestazioni adeguate ed assistenza all’avanguardia, altro che federalismo e regionalismo differenziato, siamo ancora alla subalternità economica e sociale.
Per ogni euro che la nostra malconcia sanità regionale versa alle regioni ricche del nord (più o meno un miliardo e mezzo l’anno) i pazienti e le famiglie ne spendono due per alloggi, viaggi e supporti vari.
Un paese sottosopra che toglie ai poveri per dare ai ricchi.
Ci sono altri viaggiatori di questi tempi, questi allegri e sorridenti: i turisti festosi che giungono nelle nostre terre illuminate da tramonti spettacolari, clima mai troppo rigido, meraviglie architettoniche, storiche, artistiche e, perché no,culinarie: da San Gregorio Armeno al Vesuvio passando per la Reggia di Caserta e Pompei.
Portano ricchezza che sembra cancellare le nostre arretratezze: nei trasporti pubblici (Napoli è ultima tra i capoluoghi di regioni per cittadini trasportati/ora), nella sanità (meglio non puntualizzare le statistiche), nel welfare (sempre più indietro), nell’istruzione (i dati Invalsi sono sconcertanti).
E poi? E poi si vede quell’incerto incedere di coppie mature, cariche fino all’inverosimile di valigie, pacchi, buste rinforzate ed ogni altra diavoleria artigianale per un trasporto in sicurezza di colli di ogni dimensione e peso.
Sono genitori canuti e pensosi che raggiungono intabarrati figli e nipoti per trascorrere con loro il Natale, le feste. Un sacrificio amorevole, a metà tra l’esodo e la transumanza, un riconoscere il valore del lavoro e della famiglia insieme, ricongiungersi ed insieme riconoscersi.
Saranno sulla via del ritorno tra una settimana, o giù di lì, con valigie leggere, ormai svuotate, senza i pesi di ogni ben di dio e barattoli, ma carichi di quegli sguardi intensi ed espressivi che solo figli e nipoti sanno offrire. Hanno dato. Si, hanno donato amore e conforto condito dei nostri straordinari prodotti (immancabile mozzarella, pane cafone e limoncelli vari).
Il sud perde 100mila abitanti l’anno. Una città come Siracusa scompare. Mi fa rabbia pensare che tutto questo non è per scelta, ma per necessità.
Queste famiglie ormai stabili al nord di emigranti, lavoratori, insegnanti e professionisti continueranno a guardare verso sud con nostalgia, ma ormai si sono abituati a relazioni di civiltà, ad asili e scuole efficienti, a trasporti pubblici civili, ad una sanità capace di rispondere alle domande di salute.
Invertire questa tendenza è difficile, ma non impossibile. Da nessuna parte c’è scritto che così dev’essere!
Non servono altri soldi per ingrassare i sistemi affaristici e criminali serve quella coscienza di classe (meridionale) capace di pretendere i diritti.
Il diritto all’istruzione, alla salute, ai trasporti, all’assistenza prescindendo dal luogo di nascita o di residenza.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza può aiutarci, il governo faccia il resto. Altro che regionalismi dei ricchi e potenti!
Politico – medico – scrittore