Patrick Zaki: una libertà tinta di sangue
“C’è qualcosa nella storia di Patrick Zaki che prende in modo particolare, ed è ricordare quando un innocente è in prigione”, aveva detto Liliana Segre in Parlamento nell’ormai lontano aprile di quest’anno.
Una vicenda che ha sin dal suo preludio, l’arresto all’aeroporto del Cairo dopo essere rientrato dalla città di Bologna, scosso le coscienze e la sensibilità pubblica a tal punto da coinvolgere migliaia e migliaia di persone, uomini e donne che hanno alzato di molte ottave la loro voce: l’appello e raccolta firme di Amnesty, le manifestazioni in più di 50 piazze italiane, Bologna e i suoi flash-mob, fino all’unanimità della Camera alla mozione per conferire la cittadinanza italiana.
Vittima, martire ma soprattutto malcapitato testimone di un Egitto che reprime col sangue il dissenso e che calpestando anche i più basilari diritti dell’uomo ne disconosce proprio la sua dimensione più nodale: quella della libertà.
Libertà di agire, di diritto alla vita e all’ integrità fisica, libertà politiche, libertà di espressione, di pensiero, di stampa.
Perché proprio da ciò muovono le accuse contro Zaki: reati di istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione, diffusione di notizie false, istigazione alla violenza e crimini terroristici.
E non appare difficile ,a questo punto, collegare la vicenda di Patrick a quella del giovane ricercatore Giulio Regeni, anch’egli rapito, torturato e poi brutalmente ucciso al Cairo nel 2016 da agenti di sicurezza egiziani e per cui oggi non è possibile ottenere verità: “attualmente non esiste una base per procedere con un procedimento penale sull’omicidio, il rapimento e l’omicidio di Giulio Regeni”, è quanto si legge in una nota della procura egiziana, nella quale si afferma che gli autori del crimine restano sconosciuti e che le accuse mosse dalle autorità italiane non sono accompagnate da sufficienti prove.
Mentre la morte di Giulio è rimasta impunita, così come molte altre, il caso di Patrick ha spezzato straordinariamente questo rimbombante silenzio, dando una singolare possibilità all’Italia e all’Unione europea di esercitare una pressione coerente per poter far luce sulle ingiustizie, anzi disumanità, perpetrate dal governo egiziano.
Perché se finalmente ieri mattina, 7 dicembre, al tribunale di Mansura, durante la terza udienza del processo a Patrick Zaki, dopo 22 mesi in una galera del generale-presidente al Sisi, è giunta la tanto attesa notizia della scarcerazione di Zaki, non assolto ma lontano dalle torture e vessazioni brutali subite, non si deve e soprattutto non si può, comunque, dimenticare.
Dimenticare del suicidio di un’altra giovane attivista per la parità di genere e i diritti umani, Sarah Hijazi,dimenticare del dolore dei genitori di Giulio, Paola e Claudio Regeni, che hanno atteso invano di poter riudire una voce a loro così cara che ,invece, si è spenta nella sofferenza e che rischia di finire nell’oblio generale.
Dopo la gioia sarà fondamentale che il nostro governo ,così come quello europeo, non si lasci più piegare da interessi economici ma esca dall’ombra pretendendo giustizia e verità per tutti coloro che sono morti o hanno sofferto per cause ingiuste.