MENO MALE CHE CORTE C’È!

La sentenza della Corte Costituzionale circa l’autonomia differenziata alimenta due sentimenti apparentemente contraddittori:

da una parte una sanzione così severa e puntualmente argomentata in sette specifici profili rende il percorso del Regionalismo differenziato impervio e complicato (meno male!), d’altra parte rilievi così articolati e profondi rischiano di rendere improcedibile il referendum popolare pur richiesto da oltre un milione e trecentomila firme (peccato!).

La Corte è la Corte, non è l’ultimo tribunale di provincia e nemmeno l’apprezzabile accademia di vecchi e novelli costituzionalisti. 

Ben fa a sottrarsi al teatrino quotidiano del dibattito politico evitando decisioni e sentenze  ad usum delphini.

Apprezzo e m’inchino, come dovrebbe fare ogni democratico di questo Paese, ad una inoppugnabile valutazione di congruità costituzionale che spiega anche ai peggiori “sordi” (son sempre quelli che non vogliono sentire verità incontrovertibili) che, una cosa è la possibilità costituzionalmente garantita (art.116 terzo comma) di consentire che alcune funzioni specifiche diventino di competenza di talune regioni, altra cosa è la devoluzione sic et simpliciter di poteri e funzioni in una sorta di massiva attribuzione a cascata.

Il rischio concreto però oggi è che questa esemplare sentenza impedisca la celebrazione del referendum.

Dico rischio e me ne dolgo perché troppe parti previste nella domanda referendaria sono cadute sotto la scure dei Giudici rendendo davvero improbabile il voto popolare.

Provo a distinguere sempre la natura tecnico giuridica di cui si è occupata la Corte e l’aspetto politico.

Mi sarebbe piaciuto assai una bella e vivace campagna referendaria per seppellire sotto una marea montante di giudizi negativi e voti questa furbesca interpretazione sui generis della Costituzione sottoponendola a suggestivi interessi di bottega persino distanti dalle attente valutazioni di qualsivoglia avveduto uomo d’impresa o professionista del nord.

Pensate alle norme ambientali arlecchino ognuna diversa per regione, si immagini le politiche energetiche con la neo presidente dell’Umbria o il buon Bucci a girovagare per il mondo per stipulare accordi e firmare contratti con i paesi Opec. Roba da Repubblica delle banane.

A nulla vale la soddisfazione dell’ineffabile Calderoli gran furbacchione che esulta perché il titolo (in realtà solo il titolo) non è stato cancellato dalla sentenza de quo.

Sarebbe utile cogliere questo stop dei Giudici dei giudici per ragionare di quale architettura istituzionale meglio si addice per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini, garantire diritti uguali indipendentemente dal certificato di nascita o di residenza, render più efficiente la macchina amministrativa evitando duplicazioni e sprechi.

Lo Stato faccia lo Stato anche supplendo carenze e ritardi altrui, si definiscano le macro Regioni per programmare su vasta scala, le province accanto ai comuni ritornino a svolgere le funzioni originarie.

Smettiamola di scimmiottare modelli istituzionali distanti, cominciando col cancellare l’espressione “governatori” che nulla hanno a che vedere con le nostre regioni che sono scivolate di tornata elettorale in tornata elettorale ad essere fornitori di servizi prevalentemente di salute senza alcuna programmazione strategica.

Paolo Russo

Politico - medico – scrittore

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