Lo spettro della stagflazione in Italia e in Europa
Anno nuovo, storia economica vecchia.
Il nuovo anno si apre solitamente con mirabili auspici ma, le “aspettative” in macroeconomia sono solo congetture da verificare, correggere o rivedere opportunamente. E’ il caso dell’ economia europea e di quella italiana che arrancano vistosamente, nonostante i blandi tentativi mediatici di edulcorare e plasmare i dati ad uso e consumo della politica reggente.
Lo scenario
Le note dolenti dell’ UE sono Francia, Germania e Italia, tre capisaldi economici del Vecchio continente dalle spiccate propensioni contributive e produttive. Sembra proprio che l’ Europa soffra di un consistente rallentamento in termini di ricchezza, tenuto conto dei dati dell’ ultimo semestre dello scorso anno che denunciano un tracollo di alcuni settori storicamente strategici, quali agricoltura, manifatturiero e servizi. Uno dei fattori più determinanti del predetto scivolone e’ senza ombra di dubbio l’ innalzamento dei prezzi di materie prime e fattori produttivi che si riverbera peraltro negativamente sui prezzi finali di beni e servizi e, di conseguenza, anche sul potere di acquisto dei consumatori. A tutto questo va aggiunta la riduzione delle scorte di gas metano e la scadenza di taluni accordi a sfondo energetico tra Russia e Ucraina. La componente “G” dei redditi nazionali di molti paesi europei (Italia in primis) la cosiddetta “spesa pubblica”, destinata non di rado agli sprechi (il bonus energetico si e’ rivelato un clamoroso flop, simile al reddito di cittadinanza, che ha alimentato solo il debito pubblico e la speculazione sui crediti delle imprese edili) ha indotto il governo italiano a varare misure necessarie a drenare liquidità dalle tasche dei contribuenti a tutti i costi per fare fronte agli interessi passivi sul debito nuovo e quello pregresso e ottenere dilazioni generaluzzate. All’ uopo e’ stato rafforzato il ricorso agli istituti della presunzione sui redditi (ghiotto stratagemma per battere cassa) e delle famigerate “anticipazioni da offrire” allo Stato.
L’Italia
Non fa eccezione il governo Meloni che, attraverso tali strumenti, colpisce solo apparentemente le banche, costrette a rivalersi prima o poi su privati e correntisti. La succitata mannaia si abbatte dal 2025 anche sugli eredi in materia di successione, obbligati ad anticipare e liquidare all’ Agenzia delle Entrate i tributi relativi alle somme denunciate non ancora ricevute materialmente in eredità. Del resto raschiare il fondo del barile e’ un’ operazione che attrae gli esecutivi di qualunque colore e vessillo, anche in materia di evasione fiscale. Basti tenere conto che, con il concordato preventivo concesso ai lavoratori autonomi non si fa altro che abilitare il contribuente all’ evasione presente e futura in cambio di una parziale denuncia di quella attuata in precedenza. A parere di chi scrive, i policy makers italiani non brillano certamente di luce propria, scadendo sempre più frequentemente in misure vieppiù inappropriate e paradossali. I riscontri di quanto precedentemente precisato derivano dai dati Istat relativi all’ anno scorso, allorquando si rileva un dato a dire poco agghiacciante. A fronte di un’ apparente riduzione del numero dei disoccupati italiani si registra, difatti, un perspicuo aumento dei soggetti che pur trovandosi in età lavorativa si rifiutano fattivamente di offrire lavoro, i cosiddetti inattivi, incrementati rispetto al 2023 di 337000 unità (rispetto allo stesso anno e’ diminuito di 55000 unita anche il numero dei lavoratori a tempo indeterminato). E’ ragionevole credere che il calo dei disoccupati sia solo il risultato di un travaso di soggetti da una categoria all’ altra.
La Francia
Dal canto loro, i cugini francesi non riescono a fare di meglio soffrendo di insidiosa instabilità ed insanabili contraddizioni tanto dal lato economico quanto da quello politico, che molto ci ricordano il nostro governo “gialloverde”).
La Germania
I tedeschi , che hanno dovuto correggere al ribasso come gli italiani e i francesi le proprie aspettative di crescita nel 2025 (chissà che non debbano farlo anche per il 2026) soffrono anche per una caduta verticale del settore automobilistico dei maggiori marchi teutonici come VW, Audi, Porsche e BMW a causa di un calo della domanda dei loro veicoli, sia in Europa che in Cina, dove detengono numerosi stabilimenti produttivi. A tal proposito l’Europa viene di fatto penalizzata anche dalla estinzione di un accordo imbastito tempo fa con l’ America Latina denominato “vacche per automobili” che prevedeva lo scambio delle tecnologie automobilistiche del Vecchio Continente con le carni sudamericane. Uno scenario come quello appena descritto, caratterizzato dalla impennata dei prezzi (materie prime, energia e fattori produttivi) e, al contempo, dalla decadenza del reddito (perdite dal lato occupazionale e nei settori strategici) si configura macroeconomicamente parlando con un epiteto che desta non poche preoccupazioni: stagflazione.
La stagflazione
La stagflazione e’ un fenomeno riferibile alla stagnazione economica risultante dalla somma di due altre componenti negative: l’ inflazione (aumento diffuso dei prezzi) e la disoccupazione derivante dal calo della domanda di beni e servizi. Non e’ un caso che si registrino fenomeni assai insoiti come l’ incremento del valore dell’oro (bene rifugio per eccellenza) e la coesistenza di elevato rendimento dei titoli a fronte di riduzioni del tasso di sconto praticato dalle banche centrali. Anche l’ Intelligenza artificiale e la fantomatica transizione ecologica si stanno imbattendo nelle problematiche succitate, specie quelle inflattive ed energetiche: rischiano perranto di rimanere sulla carta per gli scarsissimi risultati economici e finanziari conseguiti. Come statuivano Parmenide di Elea e Albert Einstein “tutto e’ numero” e l’ economia e’ costituita essenzialmente da numeri che vanno possibilmente interpretati al netto della oziosa retorica della premier Meloni sulle presunte potenzialità del bel Paese, riconducibili all’ impero romano e ai suoi valori