Saragat, la solitudine di un leader la cui linea sopravvive alla sua morte
35 anni or sono ci lasciava Giuseppe Saragat socialista, democratico, coraggioso interprete della migliore tradizione riformista occidentale.
L’Italia ha molti padri costituenti, ha un Pantheon ricco di personalità che hanno dato lustro e lumi al nostro Paese.
Tra questi Saragat rappresenta un gigante del pensiero riformista del secolo scorso, un illuminato protagonista di scelte che hanno donato all’Italia oltre 70 anni di pace e di civile convivenza.
Troppo facile ricordare come alcuni dei temi politici siano straordinariamente attuali.
Più case, più scuole, più ospedali era il suo refrain.
Non sono forse queste nel terzo millennio, dopo 50 anni, le priorità che ancora si appalesano in tutta la loro gravità sociale?
Non è oggi questione centrale la redazione di un grande piano di edilizia pubblica che calmieri il mercato consentendo anche nelle città metropolitane la possibilità di alloggi a prezzo sociale per famiglie indigenti, giovani coppie e studenti?
Scuola e ospedali non sono purtroppo le priorità che la pandemia ha posto drammaticamente all’attenzione della pubblica opinione e sulle quali il governo balbetta tra ritardi del Pnrr ed incertezze organizzative?
Ma questi sono i temi programmatici di Giuseppe Saragat.
Rimangono invece determinanti per il nostro vivere civile le sue scelte coraggiose e drammatiche in termini di collocazione geopolitica del nostro Paese: le scelte politiche.
Pur nel dolore di una frattura tra socialisti non si sottrasse alla responsabilità di scegliere l’Occidente, l’atlantismo, se volete l’americanismo abbandonando il PSI di Nenni sulle posizioni massimaliste del fronte socialpopolare.
Fu per questo offeso, dileggiato, vilipeso da una sinistra cialtrona che nemmeno col revisionismo post berlingueriano ebbe il coraggio di indicarlo come quei politici lungimiranti capaci di vedere per tempo la strada giusta: della democrazia, della libertà e della pace.
Il destino cinico e baro non premiò, in quel tempo le sue scelte per il Paese, relegando il suo Psdi a risultati elettorali marginali, ciò nondimeno non si sottrasse ad avere un orizzonte di prospettiva per un’alleanza delle sinistre riformiste e liberali avendo ben presente una prospettiva di crescita civile in una economia di mercato capace di tutela sociale.
Saragat fu alleato leale di De Gasperi e quest’asse rappresentò il fulcro di quel centrosinistra liberale che generò libertà e prosperità.
Quest’alleanza e le scelte atlantiste lo resero inviso a tutta la sinistra italiana compresa la corrente Dossettiana della sinistra democristiana che per attaccare De Gasperi ne attaccava il suo alleato più strategico.
Fu eletto Presidente della Repubblica ed esercitò magistralmente quel mandato ridisegnando anche il rapporto con la magistratura.
Mi piace ricordare di Giuseppe Saragat e la sua alta considerazione per le istituzioni: da presidente dell’Assemblea costituente non esitò a dimettersi quando a seguito della scissione di palazzo Barberini divenne capo politico del suo Psli.
Patisce tutt’ora di un ostracismo storiografico ed accademico testimoniato da due sole citazioni quest’oggi se si digita il suo nome sui motori di ricerca.
Non lo può ricordare la destra e la Meloni contro la quale egli seppe battersi da par suo, soffre di amnesia la sinistra pronta a ricordare e studiare ogni interprete nazionale ed internazionale del sol dell’avvenire, da Togliatti in giù, avendo gran cura ad evitare Giuseppe Saragat: avrebbero dovuto ammettere di aver sbagliato per quarant’anni ad arringare le folle indicandolo come socialtraditore, avrebbero dovuto riconoscere di essere stati loro stessi incauti, incapaci e traditori del nostro Paese, della democrazia e della libertà.
Paolo Russo
*autore del libro “Da Palazzo Barberini alla casa dei moderati” già segretario nazionale dei Giovani socialdemocratici
Politico – medico – scrittore