Lavoro, fatturato e settimana lavorativa: la lezione del Regno Unito
Più fatturato e meno stress: sono questi i risultati emersi dall’esperimento condotto in Gran Bretagna, dove da giugno a dicembre dello scorso anno 2.900 lavoratori di 61 aziende hanno sperimentato la riduzione del tempo di lavoro (32 ore settimanali invece di 40), a parità di salario. I risultati ottenuti sono stati sorprendenti: il 39% dei dipendenti si è sentito meno stressato, ha percepito meno ansia e sono in calo anche i disturbi del sonno. La salute mentale e fisica è aumentata. I dipendenti hanno avvertito anche un miglioramento delle relazioni e del tempo. Per il 60% è diventato più semplice bilanciare lavoro e vita sociale. Inoltre è diminuito del 57% il numero di dimissioni durante l’esperimento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e si sono ridotte anche le richieste di giorni di malattia di due terzi. Ma il risultato più sorprendente lo si riscontra osservando i ricavi delle aziende, aumentati in media dell’1,4%, ragione per cui 56 delle 61 aziende sottoposte all’esperimento hanno deciso di continuare con la settimana lavorativa corta.
In Italia il test è stato recentemente intrapreso dal gruppo bancario Intesa San Paolo, il cui esperimento coinvolge 1.264 dipendenti del gruppo in Italia e sarà valido fino al 31 dicembre 2025. L’accordo prevede la possibilità di lavorare 4 giorni per 9 ore, a parità di retribuzione, su base volontaria, con l’obiettivo di migliorare le condizioni economiche, lo sviluppo professionale e la risposta alle esigenze dei dipendenti, soprattutto in un’epoca in cui sempre più lavoratori chiedono soluzioni innovative per il lavoro. Negli Stati Uniti, ad esempio, ha preso piede un nuovo fenomeno noto come “Great resignation”: le grandi dimissioni. Anche in Italia si è assistito a un avvenimento simile, seppure di portata inferiore. Secondo i dati del ministero del lavoro, sono 1,6 milioni le dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, segnando un +22% rispetto all’anno precedente. Come spiegato da Tania Scacchetti della Cgil, l’aumento delle dimissioni può essere dovuto “alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più agile”, oppure legato a un crescente malessere causato da uno “uno scarso coinvolgimento e ad una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese”. Secondo Ivana Veronese della Uil, invece, le dimissioni volontarie rappresentano un segno di come le priorità si siano modificate anche nella testa delle lavoratrici e lavoratori” per via della diffusione dello smart-working e di problematiche che pesano sul mercato del lavoro come retribuzioni eccessivamente basse e orari troppo disagevoli.
Oltre che dal punto di vista sociale ed economico, la settimana lavorativa corta si è dimostrata una misura efficace anche per la lotta contro la crisi climatica. Tyler Grange, una delle aziende aderenti all’esperimento nel Regno Unito, ha analizzato l’impatto della misura sulle emissioni di Co2, osservando una riduzione del 21% nel numero di miglia percorse in auto dai propri dipendenti. Uno dei benefici osservati della riduzione dei giorni lavorativi sarebbe proprio il calo del pendolarismo e dell’uso dei mezzi privati.
In via definitiva, le ricerche finora condotte sul potenziale effetto della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività sono molto interessanti, tuttavia i possibili benefici, soprattutto dal punto di vista economico, andrebbero comunque commisurati con la scarsa produttività del lavoro presente in Italia. Infatti i paesi che hanno sperimentato questo nuovo modello lavorativo partono comunque da livelli di produttività più elevati dell’Italia, dove tra il 2010 e il 2019 questa è cresciuta, secondo le stime di Confindustria, di soli 1,2 punti rispetto agli 8,6 della Germania. Tra le cause principali della scarsa produttività ci sono una inadeguata digitalizzazione, pochi investimenti in ricerca e sviluppo, un forte disallineamento tra laureati e competenze richieste dal mercato del lavoro, la compresenza sul territorio di piccole e medie imprese con risorse economiche inferiori rispetto alle grandi multinazionali, e infine la burocrazia e la complessità fiscale che rendono più lento e farraginoso il lavoro delle aziende. Una serie di problemi che fanno sì che in Italia si lavori di più (nel 2021 la media annuale italiana di ore effettivamente lavorate da un singolo lavoratore dipendente o autonomo è stata di 1.669 ore, al di sopra la media dell’Unione Europea di 1.556 ore), ma con risultati peggiori.
L’ora di Economia