17 giugno 1983 l’inizio della fine: 39 anni dall’arresto di Enzo Tortora. Cosa è cambiato?

Giuseppe GUIDA – Sono passati 39 anni dal quel fatidico giorno, quando le forze dell’ordine bussarono alla porta di Enzo Tortora, per condurlo in carcere su ordine della procura di Napoli.

Giornalisti, telecamere, anchorman di varia natura e di dubbio gusto erano già lì, in agguato, pronti a sbattere il mostro in prima pagina e, con disgustoso sottaciuto piacere, a riprenderlo con i morsetti ai polsi.

Erano già lì sì! prima ancora che lo stesso Enzo sapesse del suo arresto, forse allertati da una delazione gracchiante del pappagallo di portobello, notiziato, pare, dal suo amico cardellino ingabbiato nell’ufficio del Procuratore.

Il mostro, il dottor Jeckill e Mr Hyde della televisione italiana, di giorno garbato ed elegante ospite delle case italo-democristiane, di notte trafficante di droga e truce camorrista, era lì con i polsi ingabbiati uno sull’altro, con il viso stralunato di chi vive un incubo Kafkiano, con la reputazione ormai oltraggiata ed il cuore trafitto dal punteruolo della “giustizia giusta”, quella che non fa distinzioni, quella che non applica sconti,  che non guarda in faccia nessuno ( dicevano) , ma soprattutto quella che non fa prigionieri: proprio così, quella che non fa prigionieri, perché imprigiona il corpo ma condanna a morte l’anima.

L’Italia si divise in due opposte fazioni, come guelfi e ghibellini,  da un lato i colpevolisti, assetati di sangue, famelici come iene piombati sulla preda ferita, gongolanti al tintinnio delle manette edesultanti alla visione delle  immagini di Tortora incarcerato, elevato a simbolo di  perversione morale da estirpare a tutti i costi, anzi costi quel costi, dall’altro, gli innocentisti, cauti verso quella autoritaria e principesca rappresentazione della giustizia, scetticiverso un impianto indiziario vago ed inconcludente, disgustati dal teatrino da avanspettacolo della azione giudiziaria e del suo uso circense  

Sappiamo tutti come è finita, Tortora, dopo anni di calvario, è risultato innocente, non lo erano gli altri, loro, quelli del bene assoluto, quelli dell’autoproclamata repubblica del giustizialismo, corazzati da una toga o schermati da una telecamera o un menabò, non lo eravamo noi, che leggevamo ed ascoltavamo, con pruriginosa curiosità le vicende drammatiche dell’uomo celebre ( e forse questa è stata l’unica sua colpa), disponibili ad indignarci in nome di quell’intimo sentimento di effimera rivalsa che ci pervade quando ad essere “colpevoli” sono gli altri.

E’ vero, sono passati ormai quarant’anni da quel giorno, eppure  il martirio di Tortora non è servito a niente!

Nulla è cambiato, tanti, troppi sono ancora gli Enzo Tortora, famosi come lui o del tutto sconosciuti, immolati sull’altare sacrificale e “salvifico” del palcoscenico delle azioni giudiziarie catartiche.

Tutti mostri, colpevoli di essere accusati, giudicati per direttissima dal Tribunale televisivo delle Erinni, dalla piazza social  degli odiatori repressi, agguattati dietro il cespuglio di una tastiera, dalle macchiette del giudizio a prescindere e, purtroppo, da quella politica improvvisata, sculettante, disposta a danzare come ballerine di fila dietro la diva del consenso.

Non è cambiato nulla da allora, è proprio vero! Ma chissà, forse un giorno quell’”io sono innocente e spero dal più profondo del cuore che lo siate anche voi” che risuona oggi come un grido di dolore, non possa domani  campeggiare a fianco de “La legge è uguale per tutti”, sta a noi e a coloro che verranno deciderlo.

di Giuseppe Guida

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *