La giustizia secondo Cartabia: impatto economico della riforma
Con 177 sì il Senato ha approvato in via definitiva la riforma del processo penale. Necessaria per l’erogazione dei fondi europei, la riforma è stata a lungo oggetto di un’accesa diatriba all’interno della maggioranza, soprattutto per via dell’opposizione del Movimento 5 Stelle. Nove ore di Consiglio dei ministri, tenutosi lo scorso 29 luglio, sono state il tempo necessario per trovare l’intesa. Nove ore di liti, discussioni e mediazioni in cui si è giocato non solo il destino del governo, ma anche il futuro del paese. La tanto discussa riforma della giustizia, su cui era caduto il governo giallorosso, ora è legge. In sintesi questa non reintroduce la prescrizione ma si rifà al concetto di improcedibilità, per il quale oltre due anni dal ricorso in appello e uno dal ricorso in Cassazione il processo non sarà più procedibile e dunque si estinguerà. I termini sono prorogabili rispettivamente di un anno e di sei mesi per reati gravi o processi complessi. Dunque, nella sostanza la legge si propone di ridurre del 25% i lunghi tempi del processo penale italiano.
L’urgenza della riforma era stata anche sottolineata dalla ministra Cartabia al summit di Napoli lo scorso 20 luglio. Un incontro proficuo che ha lasciato intravedere una cauta speranza per il futuro della città.
La guardasigilli, infatti, ha sostenuto la necessità di ripartire proprio da Napoli per la riforma in atto, sottolineando che “non si vanno a curare i sani, qualunque medico si avvicina più a un paziente grave. Qui c’è un paziente grave”. Si chiede la ministra “come sia stato possibile che si sia arrivati a 57 mila processi pendenti, che senza la prescrizione sarebbero il doppio”. A tal riguardo i numeri testimoniano una situazione di grave carenza del personale, in particolare di giudici: nel territorio del tribunale Napoli nord si conta un magistrato ogni 10 mila abitanti, a Napoli uno ogni 4 mila, a Santa Maria Capua Vetere uno ogni 6800. Come sentenzia il presidente del tribunale Napoli nord, Luigi Picardi: «Se devo fissare la prima udienza di un processo penale al 30 dicembre 2025, vuol dire che c’è un problema».
Dal punto di vista meramente economico, si stima un tangibile aumento di produttività e di dimensionamento delle imprese in uno scenario di riduzione dei tempi per i processi. In particolare rivestono una notevole importanza quelli civili, il cui disegno di legge è in esame alla Camera. Il ddl prevede una serie di novità, tra cui un incentivo alla mediazione tra le parti che eviti l’affollamento dei tribunali, l’anticipo delle richieste di prove per accelerare la sentenza e la possibilità per il giudice di richiedere in alcuni casi il rinvio pregiudiziale in Cassazione per ottenere una valutazione vincolante. Inoltre viene velocizzata la fase decisoria attraverso la cancellazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, mentre le udienze a trattazione scritta e quelle da remoto diverranno strutturali (non più eccezionali). Infine è rilevante l’introduzione dei termini intermedi che seguono gli atti introduttivi, in modo da definire domande, eccezioni e richieste di prova. Ciò ha come obiettivo la riduzione dei tempi dei processi civili del 40% in conformità dell’impegno assunto dal governo con l’Unione Europea. Sotto questo aspetto è opportuno precisare che la Commissione Europea monitora annualmente i diversi sistemi giudiziari stilando l’EU Justice Scoreboard, un report basato su tre indicatori chiave: efficienza, qualità e indipendenza. Il rapporto sottolinea i benefici di una giustizia celere sull’economia, sostenendo che “laddove i sistemi giudiziari garantiscono il rispetto dei diritti, i creditori hanno più probabilità di prestare denaro, le imprese sono disincentivate dall’adozione di comportamenti opportunistici, i costi delle transazioni sono ridotti e le imprese innovative hanno maggiore interesse a investire”.
Il limite principale che emerge dal documento è rappresentato dall’interferenza e dalla pressione da parte dei politici che compromettono l’indipendenza dei giudici. Sotto questo fronte il sistema italiano è quintultimo (davanti a Bulgaria, Polonia, Slovacchia e Ungheria).
Per quanto concerne la qualità, vengono prese in esame le seguenti variabili: il numero di casi, la durata dei processi, il tasso di liquidazione (la percentuale di casi risolti sul totale) e il numero di casi in sospeso. Facendo riferimento ai dati del 2019 l’Italia risulta ultima nell’Unione Europea per i tempi della giustizia civile. Per il terzo grado di giudizio in un processo civile ci vogliono in media 1302 giorni, 791 per il secondo e 531 per il primo. Segue Malta con 875 giorni per l’ultimo giudizio. Numeri così impietosi da poter parlare di uno spread dei processi civili: secondo i dati del Centro studi di Unimpresa in Italia occorrono in totale 2.656 giorni per completare l’intero iter dei tre gradi di un giudizio civile, in Spagna 1.241, in Francia 1.223, in Germania 806 (quattro volte meno lenta). La crisi della giustizia civile è ravvisabile in queste cifre: dalle aule italiane si esce con una sentenza definitiva dopo 7 e anni e 3 mesi, in Spagna occorrono 3 anni e 5 mesi, in Francia e Germania 3 anni e 4 mesi. “La lentezza della nostra macchina della giustizia civile – commenta a riguardo il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora – pesa tantissimo in termini economici sul sistema produttivo e sulle imprese: penso all’argomento del recupero crediti, alle liti societarie, alle cause in ambito giuslavoristico”.
La correlazione tra un sistema giuridico efficiente e un’economia florida è evidenziata anche in un celebre studio di Gianluca Esposito, Sergi Lanau e Sebastiaan Pompe, economisti del Fondo Monetario Internazionale, intitolato “Judicial System Reform in Italy, A Key to Growth” (2014), da cui emerge che l’inefficienza del sistema giudiziario italiano può essere un fattore importante che spiega le scarse prestazioni di crescita, contribuendo a una riduzione degli investimenti e alla stagnazione nell’ultimo decennio. Infatti la mancanza della certezza del diritto e di una risoluzione celere scoraggia gli investitori, in particolare quelli esteri che preferiscono indirizzare i propri capitali altrove a danno dell’occupazione.
In conclusione l’importanza di una riforma della giustizia in Italia è stata ripresa più volte negli ultimi anni da diversi organismi nazionali e sovranazionali, dati gli ingenti benefici che ne deriverebbero in termini economici e sociali. Per una curiosa coincidenza storica, l’allora governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, così riportava nelle Considerazioni finali alla Relazione annuale del 2011: “Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile […]. Nostre stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ad essa potrebbe giungere a un punto percentuale”, pari oggi a circa 18 miliardi. Nessuno avrebbe mai immaginato che dieci anni dopo sarebbe stato lo stesso Draghi il fautore della riforma.
L’ora di Economia