Recovery Fund: basta quanto previsto per il Sud? Snichelotto, AssoMiMe: “Occorre un Piano urgente”
ECONOMIA. «Il Recovery Fund potrebbe acuire il divario tra Nord e Sud. È essenziale attuare presto un Piano, per recuperare il crollo del reddito del Paese». È lo scenario prospettato da Luigi Snichelotto, imprenditore campano e presidente dell’associazione AssoMiMe (Mezzogiorno Italia Mediterraneo Europa).
Nessun posizionamento ideologico, ma la necessità di rivedere processi che rischiano di coinvolgere imprese e cittadini schiacciati dalla burocrazia.
«Recovery Fund, di cui tutti parlano, ma di cui con il contagocce stiamo comprendendo il funzionamento e l’impatto che avrà sulla nostra vita futura. Siamo sicuri che non ci siano distorsioni? E, soprattutto, è sufficiente quanto previsto per il Sud? – sottolinea Snichelotto – I 209miliardi di euro del Recovery Fund consisteranno in una elargizione progressiva, continuativa e costante. I trasferimenti saranno spalmati su più anni e finiranno di essere erogati nel 2027».
Il prossimo anno, nel 2021, è previsto un trasferimento del 6,75% del totale, nel 2022 il 9,95%, e via via salendo, fino all’ultima tranche nel 2017 corrispondente ad un/quinto della Recovery and Resilience Facility (RRF), ovvero circa il 22,62%.
«Tutto questo contrasta con le esigenze della nostra nazione. Da un’analisi ed un pensiero critico costruttivo, sarebbe dovuto avvenire il contrario, ovvero uno scaglionamento regressivo e non progressivo. Predisporre, quindi, maggiori risorse adesso, nella fase di emergenza, per contrastare e fronteggiare gli effetti catastrofici della crisi e il crollo del Prodotto Interno Lordo».
È sul rischio dell’interdipendenza dall’Europa che interviene Snichelotto: Ue che dovrà valutare la pianificazione e le riforme necessarie per far scaturire la spesa dei fondi che si spalmerà sui 7 anni.
«Il Governo Conte dovrà redigere il suo Piano per presentarlo in dettaglio a gennaio. Sembra che, al momento, il premier abbia sottoposto all’attenzione un progetto di circa 30 pagine, suddiviso per macro aree di intervento: digitalizzazione ed innovazione, salute, infrastrutture, transizione ecologica, istruzione e ricerca, inclusione sociale e territoriale».
Macro aree che dovranno poi essere declinate nel particolare, come è avvenuto per il “France Relance” da 100 miliardi, lanciato da Macron in Francia lo scorso 3 settembre: un’ampia pianificazione per la modernizzazione del Paese, che potrebbe diventare un modello per gli Stati beneficiari del Recovery Fund.
LO SCENARIO ECONOMICO
«Siamo in ritardo. I Francesi hanno già redatto un piano dettagliato. Noi non abbiamo ancora certezze. In Italia abbiamo realizzato gli Stati Generali, abbiamo coinvolto le task force, l’esecutivo ha stilato circa 550 progetti per un controvalore oscillante tra i 650-670mialiardi di euro. Tuttavia per il Sud c’è molto poco – evidenzia Snichelotto – L’unico fiore all’occhiello sembra essere il rafforzamento della Napoli-Bari. Poca roba come piano di intervento. Numerosi studiosi ed intellettuali hanno evidenziato, inoltre, come molte di queste idee fossero già previste da tempo e quindi poco innovative. I grandi interventi interessano soprattutto le aree del centro-nord, con sostegni previsti anche per alcuni porti marittimi. Il Mezzogiorno rischia di retrocedere sempre più».
E conclude: «Il “divide et impera” tra i ministeri ha suscitato aspettative che hanno determinato una rischiosa “lista della spesa” che crea una situazione di immobilismo, mentre il pericolo di un nuovo lockdown incombe e sarebbe un massacro per l’Italia. Mentre continua il dibattito sul Mes, tra le forze governative che si oppongono all’accesso al credito. Intanto i cittadini italiani sono messi sotto pressione, stressati, con forme di aggressività verbale e una popolazione stanca, logorata, senza una prospettiva certa, senza sicurezze sanitarie, con un bombardamento mediatico costante. La ciliegina sulla torta è il debito pubblico in crescita e un fisco con mille miliardi di tasse evase, di cui la metà non esigibili (per persone decedute o nullatenenti o aziende fallite) che, se recuperate, sarebbero equivalenti ad una cifra doppia rispetto alla dotazione del Recovery Fund».